Georgia O’Keeffe on my mind

8 dicembre, primo pomeriggio. Mentre i romani erano in tuttʼaltre faccende affaccendati, un gruppetto di persone avanzava irrefrenabile, con piglio militaresco, in direzione opposta alla fiumana di folla. Meta: Palazzo Cipolla, via del Corso 320, sede della Fondazione Roma Museo dove è in corso fino al 22 gennaio la più importante retrospettiva in Italia dedicata allʼarte di Georgia OʼKeeffe.

Il gruppetto era composto da: tre sorelle e madri di famiglia, una figlia di una delle tre, un marito e il sottoscritto. Contrariamente alle apparenze, non si trattava di un club di appassionati di belle arti che accompagnavano una esponente delle nuove generazioni ad approfondire il proprio bagaglio culturale… perché, in effetti, la guida e cicerona del gruppo era la ragazzina. Che ringraziamo ancora, a proposito.

Istruiti dalle didascalie precise e lineari della giovanissima cicerona, i visitatori hanno avuto lʼopportunità di godere della mostra in tutta calma, senza pestarsi i piedi né sgomitare. Per lʼoccasione il Museo è stato trasformato in una cittadina del New Mexico, con pareti e camminamenti “alla film di Sergio Leone”, la ricostruzione esatta dello studio della OʼKeeffe, i negozietti della prima metà del Novecento, ecc.

Oltre alla raccolta completa delle sue accattivanti sculture – tre – la retrospettiva offre unʼampia selezione dei dipinti di Georgia OʼKeeffe, relativi a ogni periodo della sua lunga e fortunata carriera.

Quanto ai contenuti… okay, lʼastrattismo, i fiori, le rocce, gli alberi, i fiumi, i paesaggi desertici, nonché le foto… ma al gruppetto veniva in mente una sola cosa. Conchiglie bivalvi messe in verticale. Grandi fiori con aree scure al centro. Formazioni vegetali o minerali spaccate verticalmente. Monti della Terra, ma molto simili a quelli di Venere. E la OʼKeeffe aveva pure il coraggio di prendersela con i critici che ne davano interpretazioni freudiane.

Eppure. Sarà stata lʼImmacolata o non sarà stato quello, ma da tutte queste opere emanavano una leggerezza, una delicatezza, un silenzio, un senso di sospensione che rimandavano alla pittura classica giapponese (Ukiyo-e). Allʼuscita, il tramonto aveva trasformato in un quadro della OʼKeeffe i Fori imperiali.