C’è un’arte capace di raccontare il nostro tempo di crisi? Forse sì, e senza andarla a cercare tra le installazioni minimaliste o i graffiti tribali del XXI secolo. Un pittore che sembra anticipare le atmosfere in cui noi siamo quotidianamente immersi è Hieronymus Bosch (ma lui lo scriveva “Jheronimus”), il visionario fiammingo che da mezzo millennio stupisce il mondo con il suo brulicare di mostriciattoli.
Ma saranno poi “mostriciattoli”?
Forse no. Forse… siamo noi.
Questa era la tesi di Dino Buzzati, scrittore, critico d’arte e pittore lui stesso, che scriveva: “Altro che fantasie, altro che incubi, altro che magia nera! La realtà nuda e cruda… Tutto qui il suo segreto: era uno che vedeva e ha dipinto quello che vedeva”. Ecco quindi cosa sarebbero le “fantastiche” creature “inventate” da Bosch: null’altro che la più prosaica realtà: “non erano altro che creature umane, la vera essenza dell’umanità che ci circonda. Latravano, vomitavano, addentavano, sbavavano, infilzavano, dilaniavano, succhiavano, sbranavano. Così come noi ci sbraniamo giorno e notte, a vicenda, magari senza saperlo”.
Però questo è valido sempre, da Adamo a oggi. Invece la crisi è tipica di alcuni periodi, come il nostro. Bosch ha qualcosa da dire anche su questo tema specifico?
Riteniamo di sì. Prendiamo la sua opera più nota, il Trittico delle delizie conservato al Museo del Prado. Il grande pannello centrale è stato interpretato in mille modi opposti: un’accusa contro l’umanità peccatrice, oppure l’esaltazione del sesso libero, oppure una sfilza di simboli alchemici, ecc. ecc. Chissà che non sia possibile un’ipotesi alternativa: il Trittico delle delizie potrebbe essere in realtà un Trittico dei tempi di crisi.
Infatti il primo pannello, quello di sinistra, mostra la creazione di Eva; ma senza l’episodio del peccato originale, come invece avviene in altri dipinti di Bosch. Quasi a dire: un attimo prima della catastrofe.
Il pannello centrale sembra raffigurare il mondo poco prima del Diluvio universale, come lo descrive il Vangelo (Matteo 24, 38-39): la gente mangiava, beveva, si divertiva, abbagliata dagli spettacoli, dagli idoli dell’epoca, dai colori caleidoscopici, dalle sostanze stupefacenti (nel senso letterale del termine). E nessuno si accorse del disastro che stava per spazzare via tutto, finché non fu troppo tardi.
Il pannello di destra, infine, più che l’inferno sembra rappresentare il mondo prima dell’apocalisse finale, sempre in base alle parole del Vangelo (Matteo 24, 6-21). Violenze, guerre, divisioni, odio, tentativi disperati di fuga… Sullo sfondo si intravedono addirittura le lame di luce dei riflettori, anche se il quadro risale al Cinquecento!
Troppo pessimismo? Neppure tanto, perché il mondo ha continuato a esistere dopo la “crisi” provocata da Eva, e anche dopo la crisi provocata dal Diluvio. E qualche studioso afferma che, secondo Bosch, era possibile la salvezza perfino dopo l’inferno. Dopotutto, l’amore che l’artista ha per ogni minimo dettaglio dei suoi dipinti dimostra che nulla va buttato via, per “brutto” che sembri.
Ma forse la straordinaria modernità di Bosch emerge ancora meglio da un particolare seminascosto. Nel primo pannello, quello della creazione di Eva, al centro si staglia la Fontana della vita, un soggetto molto amato dai pittori del Medioevo e del Rinascimento. Ora, guardando da vicino la Fontana, ci si accorge che è collocata… sopra una discarica di rifiuti.
Coraggio – dice Bosch –, già Adamo ed Eva avevano il problema dello smaltimento! Eppure l’umanità è andata avanti lo stesso.