Percorsi ideali tardo rinascimentali

All’indomani della pace di Cateau-Cambrésis del 1559, l’Italia, ormai saldamente spagnola, conosce finalmente un periodo di tranquillità e ne approfitta per ricostruire edifici, fortezze e palazzi distrutti da 65 anni di continua guerra. Gli architetti (militari e non) si lanciano allora in nuove e articolate forme geometriche di costruzione, che sbocceranno nelle cosiddette città ideali.
L’Italia, infatti, si rifà bella basandosi sulle idee umanistiche e artistiche nate negli ultimi 100 anni. Il risultato non cessa di stupire ancora oggi. Prendiamo ad esempio il caso di tre fondazioni ex novo di questo periodo (ma tra le città ideali del rinascimento italiano vanno segnalate anche Urbino, Ferrara, Pienza, Sabbioneta e Vigevano; valgono tutte almeno un weekend enogastronomico e culturale).

Il primo riguarda Terra del Sole, ultima propaggine della Toscana medicea in terra di Romagna, “nata” ufficialmente l’8 dicembre 1564. È una città fortezza ideale (cioè ispirata a criteri scientifici e razionali nella sua pianta urbana, con forti allacci a teorie filosofiche e/o utopiche) voluta fortemente da Cosimo I de’ Medici, il figlio di Giovanni dalle Bande Nere e primo Granduca di Toscana (si tratta di un ramo collaterale dei Medici, quello dedito alla carriera militare, che poco ha a che fare con il ramo principale che sforna solo banchieri, Papi, mecenati e malati di gotta). Chiama a edificarla ben quattro architetti militari: Baldassarre Lanci, Giovanni Camerini, Bernardo Buontalenti e Simone Genga, ma Cosimo ne ha parecchi al suo soldo perché passa gran parte del suo tempo a costruire e rimettere in sesto fortificazioni e rocche. Terra del Sole è un rettangolo bastionato che contiene un abitato civile e uno militare, le sue mura lunghe 2 km e 87 mt abbracciano due borghi maggiori, Romano e Fiorentino, e quattro borghi minori. Due similari Castelli fanno da pittoresco sfondo, mentre centralmente tutto è raccordato da una vasta Piazza d’Armi.
Grazie all’appoggio imperiale (contrariamente alla solita politica filofrancese dei Medici), Cosimo si procura ingenti somme di denaro da investire in armi, truppe e fortezze (degno figlio di cotanto padre!). Questa corsa agli armamenti gli varrà la conquista di Siena, che per competere con le nuove fortificazioni medicee perde una marea di soldi e alla fine non ha di che pagare nuove truppe per difendersi. Tutta la Toscana, sotto Cosimo I, è saldamente controllata da un sistema di presidi, fortezze, rocche e torri di avvistamento. Tra le tante costruzioni militari di questo periodo ricordiamo le nuove fortezze dell’appena presa Siena, di Pistoia, di San Piero a Sieve, di Empoli, di Sasso Simone e di Cortona; il rafforzamento e riattamento dei forti medievali di Pisa, Arezzo, Sansepolcro, Volterra e Castrocaro; le città-fortezza di Livorno e di Portoferraio (opere entrambe di Bernardo Buontalenti).

Il secondo caso che vi sottoponiamo è quello di Acaya, minuscola frazione del paese di Vernole in provincia di Lecce. Questo borgo ideale è un progetto di Gian Giacomo dell’Acaya, feudatario locale e architetto militare dell’imperatore Carlo V. Oltre a condurre a termine la costruzione del castello di famiglia (nel 1535), l’alacre Acaya vi aggiunge un borgo racchiuso da una cinta muraria dotata di tre grandi bastioni angolari. Le strade di Acaya sono in tutto nove, sei tra di loro parallele in direzione nord-sud, e tre perpendicolari alle altre in direzione est-ovest, ma tutte misurano 4 metri di larghezza e sono a intervalli di 17 metri tra loro (pure la lunghezze delle vie è uguale). Una chiesa e un convento completano questo curioso e minuscolo borgo ideale fortificato.

Spostiamoci a nord per il terzo caso, quello più spettacolare, la città fortezza di Palmanova. Costruita dai veneziani nel 1593, Palmanova è conosciuta come “la città stellata” per la sua pianta poligonale a stella dotata di nove punte. Tre porte monumentali, situate al centro delle cortine difensive e fortificate da rivellini esterni, sono le uniche via d’accesso al centro cittadino. Il Senato di Venezia ne aveva deciso la costruzione per farne un insormontabile baluardo alle ricorrenti incursioni ottomane e agli infidi attacchi imperiali. Il progetto di Giulio Savorgnan (ingegnere militare capo della Serenissima, nonché Boss di tutte le artiglierie veneziane) è talmente efficace che per due secoli nessuno ci prova ad attaccare Palmanova. La città ha ben due cerchie di fortificazioni dotate di cortine, baluardi, fossato e rivellini. Savorgnan, da buon intenditore di artiglierie, costruisce i bastioni in base alla gittata massima dei cannoni del tempo. La vista aerea di Palmanova è ancora oggi il migliore spot pubblicitario per la visita di questa incredibile città fortezza ideale.

Nel resto d’Italia si bada a edificare, ma con un occhio ben attento alle spese (per non fare la fine di Siena), certo non ci si può sottrarre al si vis pacem para bellum, ma approfittando del lungo periodo di pace si possono dilazionare le spese e i tempi di costruzione. I Savoia, ad esempio, sono costretti a dare il via a un grosso ciclo di recupero e miglioramento delle fortificazioni riavute indietro nel 1559. Chiusi come sono tra la Francia e gli Spagnoli in Lombardia, sono il classico vaso di coccio tra due giare di ferro. Arruolano perciò dei bravi ingegneri militari, come Alessandro Resta, Gabrio Brusca, Ferrante Vitelli e Giacomo Soldati, e li mettono al lavoro su tutto il territorio piemontese. I Veneziani non sono da meno, già abbiamo visto il caso esemplare di Palmanova, ma sono tutte le fortezze di terraferma a essere rivedute e corrette, grazie al lavoro di valenti tecnici come Francesco Malacreda (allievo prediletto del Sanmicheli), ma soprattutto a quello dei generali Giulio Savorgnan, Girolamo Martinengo e Sforza Pallavicino.

Fino agli inizi del XVII secolo Venezia ha una straordinaria capacità di creare dei funzionari (i Provveditori) molto competenti, nonostante siano di nomina politica (creando l’invidia di noi italiani di oggi).

A Milano e a Napoli, dominate dagli Spagnoli, si distinguono alcuni architetti come Gabrio Serbelloni, Giorgio Paleari Fratino e Bernardino Faciotto.Ormai, però, la nostra amata penisola è fuori dalla grande politica, dal grande commercio, dalla grande finanza, dai grandi circuiti artistici europei e i governanti nostrani prendono ordini dall’estero (insomma poco è cambiato rispetto al 2015). Per fortuna, invece, l’Italia è abbastanza fuori dalle prime guerre di religione che sconvolgono la Francia e l’Impero. Così i nostri ingegneri e architetti militari emigrano in Europa per cercare lavoro (vi ricorda ancora il 2015?) e lì ne trovano parecchio.